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L’arrampicata sportiva, grazie alla sua evoluzione naturale, all’incredibile diffusione degli ultimi anni e allo sviluppo dei materiali utilizzati, è diventata uno sport come molti altri. I pericoli oggettivi si sono quasi completamente azzerati e il rischio di farsi male è molto simile al rischio di infortunarsi in qualsiasi altro sport.

Non dimentichiamo però che, se i rischi oggettivi sono stati quasi completamente annullati, l’errore umano è sempre dietro l’angolo: nella gran parte degli sport l’errore umano può portare a distorsioni, fratture e in qualche raro caso ad un trauma più grave, in arrampicata invece un errore di distrazione può portare anche alla morte.

Prima regola: attenzione all’errore umano

L’infortunio più comune avviene per errori banali come un moschettone aperto, un nodo non finito, la corda troppo corta o un assicuratore distratto. Purtroppo, gli incidenti che capitano in falesia e spesso anche in montagna sono quasi esclusivamente legati ad errori umani.

Un altro elemento da tenere in considerazione è che anche se siamo attenti e scrupolosi nelle normali procedure di sicurezza in arrampicata, spesso pensiamo che l’errore o l’incidente sia una cosa estranea a noi, mentre una disattenzione può capitare a chiunque e, anche se minima, può essere fatale.

Seconda regola: facciamo parte di una cordata

Ma l’esperienza insegna che predicare l’attenzione ed insegnare ad essere attenti non basta, bisogna insegnare anche che quando si scala si diventa una “cordata”, si è legati uno all’altro da una corda e l’attenzione e il controllo reciproci ci possono allontanare da quei pericoli soggettivi di cui abbiamo parlato. Controllarsi il nodo a vicenda, controllare la corda e fare un nodo alla fine del capo non utilizzato, assicurarsi che il freno utilizzato dal compagno per la sicura sia posizionato in modo corretto e quando si fa una manovra prendersi tutto il tempo necessario per essere sicuri di averla fatta correttamente, sono attività che devono entrare nell’abitudine e devono essere naturali come il gesto di allacciarsi le scarpette.

Terza regola: usiamo la testa

Un altro elemento che ci mette in pericolo mentre pratichiamo l’arrampicata sportiva è quello che viene comunemente definito incoscienza. In realtà questo sport, essendo potenzialmente mortale, mette nelle mani di chi lo pratica una libertà individuale notevole. Ognuno di noi, quando decide di salire una via, ha la libertà di scegliere fino a che punto prevedere e limitare il pericolo. Dalla buona norma di cui abbiamo parlato, che prevede un controllo scrupoloso e l’utilizzo di tutte le attrezzature necessarie per la sicurezza, all’estremo opposto che implica l’arrampicata definita in free solo, e cioè senza nessuna protezione. Queste decisioni però dovrebbero essere dettate più che dall’incoscienza, dalla coscienza personale di ognuno di noi, dovrebbero essere scelte consapevoli, soprattutto per quello che riguarda le possibili conseguenze delle nostre azioni. In questi casi però non si parla più di sport ma di attività pericolose e se già l’arrampicata sportiva non dovrebbe essere mai presa disinvoltamente pur essendo molto sicura, le scelte che implicano un aumento considerevole del rischio non dovrebbero essere fatte mai con leggerezza.

Arrampicate il più possibile, ma arrampicate con la testa!

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locandina arrampicata triestina negli anni 80